IL PRETORE
   A  scioglimento  della  riserva  assunta  all'udienza del 27 maggio
 l998;
                             O s s e r v a
   Con decreto emesso il 14 luglio 1995 dal p.m. della  procura  della
 Repubblica  presso  la  pretura  circondariale di Roma, veniva citato
 Campanale  Luigi  dinanzi  l'intestato   pretore   perche'   ritenuto
 responsabile  dei  reati  di  cui:  a) art. 25, primo comma d.P.R. 10
 settembre  1982, n. 915; b) commi 3, 5 e 9-octies, legge n. 475/1988;
 c) art. 3, comma 2, lett. b) e art. 14, d.lgs. 27  gennaio  1992,  n.
 95; cosi' come accertati in Giudonia loc. "Il Cupo" il 28 aprile 1994
 (peraltro, come meglio specificati nel fascicolo processuale allegato
 alla presente ordinanza).
   Al termine della fase della discussione, il pretore si ritirava
  per  la  fase  della decisione e avendo accertato la responsabilita'
 dell'imputato in riferimento al  reato  di  cui  all'art.  25,  primo
 comma,  d.P.R.  10  settembre  1982, n. 915 e dovendo applicare nella
 fattispecie l'art. 55, comma  3,  d.lgs.  5  febbraio  1997,  n.  22,
 rientrava in aula
  d'udienza,  sollevando la questione di illegittimita' costituzionale
 del prefato art. 55 per i motivi che si esplicitano di seguito.
   Osservasi, infatti, che a  seguito  dell'emanazione  del  d.lgs.  5
 febbraio 1997, n. 22, si e' verificata, anche in campo penale, per le
 disposizioni incriminatrici anteriormente contremplate dal d.P.R.  n.
 915/1992,   oggetto   di   parziale   riformulazione   con  il  nuovo
 provvedimento normativo, un'ordinaria ipotesi di successione di leggi
 penali disciplinato e regolato in  via  generale  dall'art.  2,  c.p.
 entro la cornice costituita dalla superiore previsione costituzionale
 di cui all'art. 25 della Costituzione.
   La condotta, in rubrica specificata, contempla una delle ipotesi di
 successione  di previsioni incriminatrici talche' il giudice dovrebbe
 al riguardo procedere secondo la surriferita  stregua  implicante  il
 raffronto di gravita' tra le disposizioni penali in rapporto tra loro
 di  successione  temporale.  Per contro, al punto  3, di cui all'art.
 55,  e'  fissata  la  norma  testualmente  prescrivente  che  per  "i
 procedimenti  penali  pendenti  alla  data  di  entrata in vigore del
 presente decreto l'autorita' giudiziaria,  se  non  deve  pronunziare
 decreto  di  archiviazione  o sentenza di proscioglimento, dispone la
 trasmissione degli atti agli  enti  indicati  al  comma  1,  ai  fini
 dell'applicazione  delle  sanzioni  amministrative".  La  norma cosi'
 formulata, e secondo gli effetti dalla sua applicazione  conseguenti,
 interferisce  con  il fenomeno successorio di leggi penali nel tempo,
 alterandone la funzionalita' nella  sua  generale  prefigurazione,  e
 porgendosi cosi' in conflitto con precisi disposti costituzionali.
   Invero,  preposto  che  essa  si  riferisce  a  procedimenti penali
 suscettivi  di  definizione  nel  merito  (come   si   evince   dalla
 prospettata  ipotesi  che  il  giudice possa pervenire a pronuncia di
 proscioglimento) e, dunque, a casi nei quali  non  si  e'  realizzata
 un'abolitio criminis totale, bensi' solo una riformulazione del reato
 e  delle  conseguenze  sanzionatorie legate ad una certa condotta, la
 previsione ivi contenuta, per l'ipotesi  opposta  in  cui  non  siano
 raggiungibili  i  suddetti esiti (di archiviazione o proscioglimento)
 in forza della quale il giudice debba,  anche  in  tale  eventualita'
 limitarsi ad una pronuncia di sostanziale non liquet con trasmissione
 degli  atti all'autorita' amministrativa, di fatto e surrettiziamente
 introduce una forma sui generis di amnistia generalizzata  introdotta
 al  di  fuori  del  procedimento  e  delle  competenze costituzionali
 previste in subiecta materia.
   E  tale  profitto  non  puo'  intendersi  superato  da   una   piu'
 circoscritta lettura della norma limitandone l'ambito di rilevanza ai
 soli  casi di abolitio criminis giacche', per un verso sia il lessico
 impiegato ("procedimento penale" e  "sentenza  di  proscioglimento"),
 sia il profilo contenutistico ad esso sotteso, confermano vertersi in
 presenza  di condotte anche attualmente a rilevanza penale; sia anche
 e soprattutto per la sostanziale inutilita' di una  norma  che  -  se
 cosi'  interpretata - avrebbe la singolare funzione di dichiarare gli
 effetti correlati ad una ordinaria ipotesi di  successione  di  leggi
 penali  nel  tempo, fenomeno questo gia' disciplinato in altre e piu'
 qualificate sedi (artt. 25 Cost. e 2, cod. pen.).
   Ne puo' preterirsi, ulteriormente, che,  il  richiamo  testuale  ai
 procedimenti  penali  - interpretabile nel senso di riferirsi ai soli
 casi di fattispecie ancora pendenti in fase di  indagini  preliminari
 prima  cioe'  del  formale  promovimento  dell'azione  penale  che si
 determina nel rito pretorile con l'emissione del decreto di citazione
 a giudizio, con il  passaggio,  quindi  dalla  fase  morfologicamente
 definibile procedimentale a quella processuale - introduce anch'esso,
 secondo   l'opzione   interpretativa   teste'  richiamata,  dubbi  di
 costituzionalita', giacche' identiche fattispecie, anche coeve quanto
 al  tempo  di   consumazione,   riceverebbero   diverso   trattamento
 dipendente  solo  dal fatto estrinseco e casuale, che solo per alcune
 sia stata superata la  soglia  procedimentale,  ancorando  cioe'  gli
 esiti  di  improcedibilita' solo ai casi gravati da piu' lunghi tempi
 di   definizione,   come   tali   ancora   insistenti   nella    fase
 procedimentale.
   E'  in  dubbio  che l'illegittimita' del diverso trattamento, cosi'
 come evidenziato, non puo' trovare, per fattispecie identiche, valida
 spiegazione nella discrezionalita' del legislatore, per quante  volte
 essa  la  si  eserciti  con  modalita'  e contenuti tali da palesarsi
 viziata da manifesta arbitrarieta'  e  disuguaglianza  immotivata  di
 trattamento normativo di casi in tutto e per tutto uguali.
   Tanto premesso la norma di cui all' art. 55, punto 3, del d.-l.  in
 applicazione  contrasta,  ad  avviso  dello scrivente giudice con gli
 artt. 3, primo e secondo comma, 79 della Costituzione.  La  questione
 prospettata  e'  all'evidenza  rilevante  giacche'  di  tale norma il
 giudice remittente e' chiamato a fare applicazione nel presente caso,
 sul presupposto che essa  si  riferisca  ai  procedimenti  penali  in
 genere  (dunque,  anche  a  quelli  pervenuti nella fase strettamente
 processuale) mentre,  in  diverse  ipotesi,  l'esclusione  della  sua
 applicazione  nella fase processuale costituisce proprio l'oggetto di
 una delle specifiche doglianze segnalate.